Il gioco delle coppie (2018)

di Olivier Assayas

con Juliette Binoche, Guillaume Canet, Vincent Macaigne, Christa Theret

Film francese… che più francese non si può! Mi riferisco a uno degli ultimi lavori di Olivier Assayas di cui stronco immediatamente il titolo italiano, che vuole essere ammiccante ma che è totalmente fuorviante rispetto a quanto il film propone. Ma sulla scelta dei titoli delle versioni distribuite nel nostro Paese si potrebbe parlare per ore ma non è questa la sede. Si diceva, una pellicola che più francese non si può, visto che la storia è messa abbondantemente in secondo piano e il regista preferisce concentrarsi sui dialoghi, elevati ben al di sopra dei tradizionali scambi di battute tra amici.

Spesso e volentieri il motivo della discussione è letterario, non tanto per infarcire il tutto di dotte citazioni (anzi una delle poche presenti è quella, stra-abusata, de Il Gattopardo) ma per fare il punto sull’editoria del nuovo millennio, tra editori in crisi ed eBook che non vendono abbastanza. D’altra parte uno dei protagonisti – Alain (un Guillaume Canet straordinariamente somigliante a Patrick Dempsey) – è proprio un editore, e un altro – Leonard – uno scrittore non proprio di straordinario successo, specializzato in “autobiografie romanzate” che sembrano più che altro la scusa per fare sfoggio delle proprie relazioni sessuali.

Tra un dialogo e l’altro, emergono le varie situazioni relative ai legami sentimentali delle due coppie, molto attente a quello che dicono e ai propri punti di vista, meno a restare fedeli l’uno l’altra. Il tradimento è un po’ il file rouge che attraversa Il gioco delle coppie. Ma un tradimento vissuto in modo snob, con una certa superiorità, con donne che hanno la certezza dell’infedeltà dei mariti ma la vivono con grande distacco, come un incidente di percorso irrilevante. Così quando Leonard confessa alla moglie di aver avuto una relazione, non ci sono scenate, non ci sono urla ma semplice constatazione del fatto (senza passività beninteso).

Perché l’obiettivo del film non è quello di analizzare gli stati d’animo dei protagonisti bensì avere una “scusa” per farli parlare. Nonostante il rischio di diventare eccessivamente verboso in realtà sia sempre in agguato, il lungometraggio di Assayas è estremamente piacevole, ben recitato e ironico. Certo non vi aspettate che succeda qualcosa!
 

Voto: 6.5