Trama e recensione di Jai Bhim (2021)
Regista: T.J. Gnanavel
Cast: Suriya, Lijomol Jose, Manikandan, Raljisha Vijayan, Prakash Raj, Rao Ramesh
La prima scena di Jai Bhim si svolge davanti alla porta di un carcere. Un poliziotto inizia il suo appello dei detenuti che lasciano la prigione quel giorno. “Enna aalu ya?” (“Di quale casta sei?”) chiede. “Devar, Koravar, Vanniyar, Irular, Ottar, Gounder, Naidu, Mudaliyar” – sono le risposte. Il poliziotto separa i più svantaggiati – Koravar, Ottar e Irular – per consegnarli a un gruppo di poliziotti, in attesa di incastrarli affibbiando loro le colpe di altri casi irrisolti, mentre gli altri se ne vanno.
Questa scena appare come un prologo ma ci presenta la pellicola come un film senza censure, nel quale il protagonista – l’avvocato Chandru (Suriya) – decide di difendere Sengani (Lijomol Jose), una donna della casta degli Irular (una delle più “basse”), il cui marito, Rajakannu (Manikandan), è scomparso durante la custodia alla stazione di polizia, dopo un accusa di furto.
Jai Bhim dedica gran parte della prima ora a presentarci la vita di Sengani e Rajakannu con uno sforzo deliberato, seppur leggermente forzato, per umanizzarli. Nel raccontare la loro storia, Tha Se Gnanavel ci mostra come il sistema non li consideri in alcun modo, anzi come la società indiana non faccia altro che insultarli e discriminarli abitualmente. Lo sceneggiatore-regista, invece, vuole che lo spettatore li veda non solo come povere vittime senza istruzione, bensì come persone laboriose, intelligenti e con dei sogni.
Quando però Sengani inizia a raccontare la vicenda di suo marito, il film cambia completamente registro, sviluppandosi come un thriller investigativo, che rivela informazioni poco alla volta, così da mantenere chi guarda sul filo della tensione. La scrittura di queste parti è fantastica e ci fa indagare insieme con l’avvocato, che crede di avere abbastanza informazioni per andare in tribunale ma che, passaggio dopo passaggio, si rende conto di quanto ancora non sappia. Ogni testimone sembra legittimo, finché non viene smentito. Certo, noi sappiamo fin da subito chi è il colpevole (i poliziotti) ma il “come e il perché” viene svelato solo alla fine.
Il film si guarda bene dal presentare Chandru come un investigatore infallibile. È solo persistente, di sani principi e di buon senso. Del resto l’inganno della polizia si smaschera al minimo spintone, le coperture degli agenti sono quasi senza senso. Sarebbe facile attribuire questa scelta a una sceneggiatura poco ispirata. Ma ben presto capiamo che il regista vuole farci vedere quanto poco sforzo mettano i poliziotti nell’inventare le loro bugie, talmente sono abituati all’impunità.
Parlando del cast, le varie interpretazioni meritano assolutamente un plauso. Lijomol Jose, coraggiosa e vulnerabile, ci fa capire quanto importante sia la sua lotta mentre il procuratore pubblico (Guru Somasundaram) è spregevole e parla con quel tono di arroganza sottile che è tipico degli uomini corrotti al potere. Probabilmente proprio l’interpretazione di Suriya è quella che convince meno, non tanto per qualche responsabilità dell’attore, quanto per scelte di regia – tra zoom repentini sul suo volto e sottofondi musicali ad hoc – che si rivelano un po’ fuori contesto.
Jai Bhim non è sempre semplice da guardare, perché non lesina di mostrarci la tortura di cui è vittima Rajakannu, più volte e in modo sempre più intenso, con umiliazioni e aggressioni che talvolta costringono a voltare lo sguardo. Ma non costringono l’ingiustamente accusato a venire a patti con la sua dignità perché “le ferite sul mio corpo guariranno presto ma la reputazione di essere un ladro mi rovinerà per sempre…”
Volete sapere dove guardare Jai Bhim? In streaming su Amazon Prime Video, in versione originale con sottotitoli in inglese. Aspetto che – unito alla durata di 2 ore e 44 minuti – di certo non rende la visione semplice ma lo sforzo che si deve fare è ben ripagato dal valore della pellicola.
Voto: 7.5
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