Trama e recensione di First case, second case (1979)

Regista: Abbas Kiarostami

Cast: Ezzatolah Entezami, Sadegh Ghotbadeh, Sadegh Khalkhali 

First Case, Second Case è un film che si muove sul confine sottile tra finzione e documentario. In poco più di cinquanta minuti, racconta un episodio apparentemente semplice ma denso di implicazioni morali e politiche. Un insegnante, durante la lezione, disegna qualcosa alla lavagna con le spalle rivolte agli studenti. Dal fondo dell’aula, un ragazzo inizia a battere ritmicamente la penna sul banco. Ogni volta che l’insegnante si volta, il rumore cessa; quando torna a scrivere, ricomincia. Non riuscendo a scoprire il colpevole, il maestro individua sette alunni sospettati e li punisce: resteranno fuori dall’aula per una settimana o finché uno di loro non rivelerà chi ha commesso il gesto.

A partire da questo episodio, il regista Abbas Kiarostami costruisce due versioni dei fatti. Nella prima, uno degli alunni cede alla pressione e denuncia il compagno; nella seconda, i ragazzi restano uniti e si rifiutano di parlare. Le due ipotesi diventano il punto di partenza per un esperimento morale: il regista le mostra a una serie di adulti — genitori, insegnanti, religiosi, intellettuali, esponenti politici — chiedendo loro di commentare e di esprimere un giudizio. Le opinioni che emergono rivelano profonde differenze di valori, di visione del mondo, di interpretazione del rapporto tra individuo e collettività.

In questo modo, la vicenda scolastica si trasforma in una potente metafora sociale e politica. La decisione di “fare la spia” o di “mantenere il silenzio” assume un peso che va oltre il contesto dell’aula: diventa riflessione sulla responsabilità personale, sull’obbedienza, sulla lealtà e sul potere.

Girato alla vigilia della rivoluzione iraniana, il film rispecchia l’incertezza e la tensione morale di un Paese in trasformazione. Le voci dei commentatori — alcuni dei quali sarebbero stati coinvolti direttamente nei cambiamenti politici successivi — offrono un ritratto corale di una società in cerca di nuovi punti di riferimento. Kiarostami evita ogni presa di posizione esplicita e affida il senso del film alla pluralità delle opinioni, invitando lo spettatore a interrogarsi piuttosto che a giudicare.

L’opera, per quanto breve, è di grande densità concettuale e si pone domande sul confine tra obbedienza e coscienza, tra logica del gruppo e libertà individuale. A più di quarant’anni dalla sua realizzazione, resta una delle opere più significative di Kiarostami – autore de Il sapore della ciliegia – capace di trasformare un semplice gesto e la conseguente decisione, in una parabola universale sulla giustizia, sulla verità e sulla libertà.

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Voto: 8