Trama e recensione di Divine comedy (2025)
Regista: Ali Asgari
Cast: Bahram Ark, Sadaf Asgari, Bahman Ark, Hossein Soleimani
Bahram (Bahram Ark, nei panni di se stesso) è un regista quarantenne che ha dedicato la sua carriera a realizzare film d’autore in lingua turco-azera, mai distribuiti in patria. Quando l’ennesima opera viene bloccata dalla censura, Bahram e la produttrice Sadaf (Sadaf Asgari, anche lei nei panni di se stessa) decidono di proiettarla comunque, sfidando apertamente i divieti.
Lo trama di Divine comedy si concentra in una sola giornata, durante la quale Bahram e Sadaf tentano di organizzare la proiezione, tra incontri surreali, discussioni cinefile e divieti a prescindere, che risuonano come metafora di un Paese imbrigliato dalle proprie contraddizioni.
Già la scelta del cast da parte del regista Ali Asgari è stato un atto politico. Sadaf Asgari – nipote del regista – è stata infatti bandita dalla recitazione in Iran e, nel film ma immaginiamo anche nella realtà, le porte le si chiudono in faccia per via dei suoi capelli blu e del rifiuto di indossare il velo. Anche Bahram Ark e suo fratello gemello Bahman — registi di opere come Soyoogh (2016) e Skin (2020), invise al regime — interpretano versioni fittizie di sé.
Allo stesso modo le scelte stilistiche del regista vanno intese come metafore della surreale condizione del cinema iraniano: i piani sequenza e le inquadrature statiche – che sono il marchio distintivo di quello che probabilmente è il miglior film di Asgari, Kafka a Teheran, ampiamente citato (non solo a parole) in Divine comedy – sono presenti in modo ricorrente e con un intento preciso: utilizzare l’immobilità della macchina da presa per evocare la rigidità del potere e il suo controllo oppressivo. Un effetto che si contrappone con forza alla leggerezza e al senso di libertà delle sequenze in cui Bahram e Sadaf sfrecciano per Teheran su una Vespa, a ricordare inevitabilmente Caro diario di Nanni Moretti.
Il tono scanzonato, il ritmo altalenante e gli incontri e i dialoghi spesso surreali contribuiscono a dare al film l’energia che ne diventa anche la forza trainante, sebbene qualche passaggio risulti un po’ forzato. Il risultato finale è una satira pungente che non ha paura di irridere il potere, a conferma di come l’ironia sia un’arma formidabile contro l’oppressione.
Voto: 7.5
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