Trama e recensione de La storia dell’ultimo crisantemo (Zangiku monogatari – 1939)
di Kenji Mizoguchi
con Kakuko Mori, Shotaro Hanayagi, Kokichi Takada, Tamitaro Onoue
Tra i più importanti registi giapponesi di sempre, Kenji Mizoguchi è conosciuto e apprezzato per i suoi lavori più recenti, come I racconti della luna pallida di agosto o L’intendente Sansho – anche se parliamo pur sempre degli anni ’50 del Novecento – ma la sua cinematografia affonda le radici già agli albori del secolo scorso.
Tra le sue pellicole meno conosciute (disponibile però per la visione su Plex.tv, in versione originale con sottotitoli in inglese) ma assolutamente meritevole di una visione c’è La storia dell’ultimo crisantemo, datato 1939 e che, in qualche modo, anticipa una delle tematiche tanto care al regista: personaggi femminili forti e che dominano la scena.
Qui la donna, stoica e capace di sacrificare la propria felicità per il bene della persona amata, è Otoku (Kakuko Mori), di umili origini, che si innamora (ricambiata) di Kikunosuke (Shotaro Hanayagi), un attore di teatro kabuki, discendente di un grande attore e destinato a una luminosa carriera. La passione tra i due, severamente osteggiata dalla famiglia, porterà Kikunosuke – che in realtà grande talento attoriale non ne ha – a rinnegare il padre e ad andarsene con Otoku. La loro vita, però, sarà tutt’altro che facile.
Dramma di altri tempi, con sacrifici e onore a dettare le scelte della coppia, La storia dell’ultimo crisantemo, spicca per il livello tecnico che Mizoguchi mette in mostra, cosa ancora più sorprendente tenendo conto dell’epoca in cui la pellicola è stata girata. La narrazione è costruita attraverso piani sequenza – non così utilizzati allora – con la telecamera che, spesso, sembra quasi spiare i protagonisti, mantenendo pudicamente le distanze dal ciglio di una strada o da dietro una staccionata.
Raramente gli attori ci vengono mostrati in primo piano (si dice anche perché Shotaro Hanayagi fosse molto più anziano rispetto al personaggio che interpreta) perché il regista non vuole che siano i volti, bensì le posture, i corpi e le scenografie a trasmettere le emozioni.
La storia dell’ultimo crisantemo è un gioiello da scoprire, attraverso una visione che certo chiede molto allo spettatore – sia per lo stato della pellicola, sia per alcune lunghe sequenze di teatro kabuki non esattamente agevoli da digerire – ma che ripaga in termini di resa ed esperienza cinematografica.
Voto: 7.5
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