Stalker (1979)
di Andrei Tarkovskij
con Aleksandr Kaydanovskiy, Anatoliy Solonitsyn, Nikolay Grinko
Dopo una recente seconda visione, la prima è stata parecchi anni fa, è tempo di recensire un capolavoro immortale del cinema come Stalker di Andrej Tarkovskij. Tema del film (tratto da un racconto) è il viaggio dell’uomo alla ricerca della verità, ma anche della comprensione di se stesso. Un viaggio introspettivo dunque (il rumore del treno che non si vede maI) per scrutare la mente (LA ZONA) attraverso la coscienza (lo scrittore) e la logica (il professore) che poi sono le due anime del nostro essere: il cuore e la mente.
Il film ci guida in questo viaggio con diverse metafore, alcune difficili da cogliere, altre più semplici. Anche la doppia visualizzazione tra colore (nella zona) e il bianco e nero (nelle scene di vita dello stalker) non è così netta, tanto che nelle scene finali colore e bianco e nero si mischiano.
Dal punto di vista prettamente cinematografico è impossibile non rimanere colpiti dallo stile della regia, che alterna primi piani didascalici a movimenti geometrici della telecamera. Emblematico quello che ci presenta lo stalker e la sua famiglia a inizio film con un movimento orizzontale in entrambe le direzioni. Per non parlare della capacità di tenere alta la tensione in un film dove non succede quasi nulla e i dialoghi sono pochi ma di grande profondità. Tarkovskij miscela sapientemente filosofia e religione (Apocalisse, 6: 12-17. e Luca, 24:13-18.) in un unicum complesso ma al tempo stesso gratificante per chi sa coglierne il significato.
Insomma, un film estremamente difficile, da affrontare con pazienza e voglia di andare oltre il semplice (ma non sempre) significato delle immagini.
Voto: 8
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