Trama e recensione di The pale blue eye (2023)

di Scott Cooper

con Christian Bale, Hary Melling, Timothy Spall, Toby Jones, Gillian Anderson, Lucy Boynton

 

Augustus Landor (Christian Bale) è un investigatore molto apprezzato ma che, provato dalle vicende della vita, non esercita più la professione. All’improvviso viene richiamato in servizio perché, nell’accademia militare di West Point, viene rinvenuto il corpo di un cadetto orrendamente mutilato.

Questo detective ante litteram – l’ambientazione è quella di inizio ‘800 – per svolgere le sue indagini si avvale del supporto di Edgar Alan Poe (sì proprio il celebre scrittore, interpretato da un Harry Melling tutto occhi strabuzzati), a quel tempo impegnato nel servizio militare proprio a West Point.

Ispirato a un romanzo di Louis Bayard, The pale blue eye – I delitti di West Point (disponibile in streaming su Netflix) si gioca molte delle sue carte puntando su ambientazione storica e atmosfere. Da questo punto di vista il lavoro svolto dal regista Scott Cooper è quanto mai apprezzabile. Certo è agevolato dalle distese innevate, dalle foschie rischiarate solamente dalle lanterne e dagli interni illuminati da tremolanti candele ma l’impatto è indubbiamente forte e coinvolgente.

Inizialmente anche la trama si fa apprezzare, visto che l’identità dell’assassino ci viene celata e le ipotesi di Landor sono le stesse nostre. Non dispiacciono nemmeno gli alti dialoghi – tra ragionamenti, logiche e poesie – tra l’investigatore e Poe (che in qualche modo ci ricordano quelli tra Sherlock Holmes e Watson) ma ben presto il film comincia a mostrare segni di cedimento.

La storia prende un’improbabile deriva satanica e il castello di carte edificato fino ad allora crolla in modo misero. Il finale, poi, non è poi il vero finale – il dubbio viene subito, visto che da quel momento c’è ancora una mezz’ora di film – perché ne deve arrivare un secondo, con colpo di scena (o presunto tale) incluso.

Insomma The pale blue eye – I delitti di West Point sperpera quanto di buono è in grado di offrire con una trama poco ispirata, a cui aggiunge recitazioni spesso sopra le righe. Se Christian Bale si salva col mestiere e se dell’attonito Melling abbiamo già detto, la palma della peggiore della compagnia se la aggiudica Gillian Anderson (sì esatto, la Scully di X-Files), fastidiosamente sopra le righe e per niente a fuoco nel ruolo di Julia Marquis.

Voto: 5