Il cerchio (2000)

di Jafar Panahi

con Maryiam Palvin Almani, Nargess Mamizadeh, Elham Sabotakin, Fereshteh Sadre Orafaiy

Storie di donne che vivono in Iran all’inizio degli anni 2000. Donne costrette a un’esistenza sottomessa, sempre con il rischio di essere additate o giudicate male solo per il fatto di camminare da sole per strada, di voler fumare una sigaretta. Donne obbligate a ingoiare il rospo di una sudditanza agli uomini che non accettano ma contro la quale non sembra ci sia modo di ribellarsi.

Jafar Panahi (di cui ho anche recensito i bellissimi Taxi Tehran e Gli orsi non esistono) è da sempre interessato a raccontare queste storie, a mostrare le storture della società iraniana, maschilista, ultra religiosa e che sembra aver individuato nel genere femminile l’origine di tutti i mali.

Il regista, proprio per questo non particolarmente amato dal Governo, è costretto a girare i suoi film di nascosto, senza fronzoli e senza attori professionisti. Il cerchio non fa eccezione ma quando l’urgenza di raccontare qualcosa è forte, il messaggio arriva diretto senza bisogno di abbellimenti, scene perfette, effetti speciali e ciak ripetuti all’infinito.

Il cerchio del titolo è quello che in qualche modo unisce tutte le vite delle protagoniste. C’è quella che ha appena partorito una figlia femmina e non sa come reagirà la sua famiglia visto che dall’ecografia sembrava che il nascituro fosse un maschio… Ci sono Nargess e Arezou, uscite di prigione e terrorizzate all’idea di tornare a casa, c’è Pari che è rimasta incinta e non ha marito, il che la rende una reietta visto che da sola non può crescere un figlio ma nemmeno decidere di abortire, c’è Nayereh che, rimasta da sola con una figlia di tre anni e non sapendo come tirare avanti decide di abbandonarla.

Quelle raccontate sono le storie di milioni di donne iraniane, che vorrebbero essere forti, indipendenti ma che finiscono con l’essere inevitabilmente disperate, imbrigliate in una realtà che le vorrebbe solo madri e mogli, ubbidienti e docili.

Originale la scelta di legare i vari racconti in modo che ogni donna a un certo punto incontri quella che sarà protagonista della sequenza successiva; vediamo così la prima allontanarsi e la cinepresa focalizzarsi sulla seconda. Vincente la decisione di trovare un elemento che accomuni tutte le donne – il desiderio di fumare una sigaretta – che ci fa capire quanto anche un gesto all’apparenza così banale e scontato possa essere considerato un qualcosa da vietare.

Il film di Jafar Panahi, dal punto di vista visivo, è povero e, per chi non è profondo conoscitore delle dinamiche della società iraniana, in alcuni passaggi può anche risultare oscuro. Trasuda però realtà, sofferenza e voglia di riscatto e perciò rientra a pieno titolo tra quelle pellicole capaci di trasmettere qualcosa e non lasciare indifferenti.


Voto: 7.5