Trama e recensione de Il mio giardino persiano (Keyke mahboobe man – 2024)
Registi: Maryam Moghadam e Behtash Sanaeeha
Cast: Lili Farhadpour, Esmaeel Mehrabi, Soraya Orang, Aman Rahimi
Mahin (Lili Farhadpour) è una settantenne, vedova ormai da una vita, che ha imparato a convivere con la sua solitudine. Solo ogni tanto riesce a mitigarla organizzando un pranzo con altre amiche vedove ma la maggior parte del tempo la trascorre a convincersi che restare soli non sia poi così male. In questo pensiero è indubbiamente incentivata dalla repressiva società iraniana, che non vede di buon occhio le frequentazioni tra donne e uomini al di fuori del matrimonio. E le eccezioni non si applicano nemmeno agli anziani.
In virtù del suo carattere combattivo Mahin decide di non darsi per vinta e sfrutta le occasioni che la portano fuori casa – per comprare il pane o per passeggiare in un parco – per cercare di conoscere un uomo. Finché, in un ristorante, non si imbatte in Faramarz (Esmaeel Mehrabi), anch’egli solo da anni e ben contento di accettare l’invito della donna a trascorrere una serata insieme. Con tutte le difficoltà del caso, tra vicini impiccioni e il timore di essere visti da qualcuno…
Il tempo che Mahin e Faramarz trascorrono nell’appartamento di lei è il “cuore” de Il mio giardino persiano, pellicola firmata dai registi Maryam Moghadam e Behtash Sanaeeha. Ma ne definisce anche i limiti.
I momenti che l’improvvisata coppia vive sono quelli di una forte connessione, dove anni di solitudine e silenzi vengono colmati con musica, risate, sentimenti e parole. L’urgenza emotiva dei due anziani si riversa nel desiderio di condivisione e annulla le distanze che, inevitabilmente, dovrebbero esserci tra due sconosciuti.
La loro ingenuità, il loro entusiasmo scaldano l’anima ma la rapidità con cui entrano in intimità, superando l’iniziale imbarazzo, e le reciproche dichiarazioni d’amore suonano un po’ forzate e mi hanno lasciato una sensazione di disagio. Ma forse quando il tempo che resta da vivere è poco, non ha senso farsi condizionare dal passato e dalla paura di dire quello che si prova… E questa è una lezione che dovrebbe imparare anche chi di tempo ne ha di più.
Difficile dare un giudizio su Il mio giardino persiano senza parlare del colpo di scena finale (dunque se non avete ancora visto il film vi consiglio di fermarvi qui a leggere), che arriva non esattamente inaspettato ma che sembra non dare scampo al desiderio di rinascita della protagonista, con la vita che – andando ironicamente a sostituirsi all’azione censoria della società iraniana – sembra punirla per aver osato inseguire un pezzetto di felicità.
Probabilmente l’espressione “mai una gioia” in Iran non la conoscono (anche se la vivono quotidianamente sulla propria pelle molto più di noi).
Voto: 7
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