My happy family (2017)

di Nana Ekvtimishvili e Simon Groß

con Ia Shugliashvili, Merab Ninidze, Berta Khapava, Tsisia Qumsishvili

C’è il pienone in un appartamento di Tbilisi. Ci vivono Manana, il marito Soso, i genitori di lei, due figli (di cui una con il fidanzato). Mancherebbe il cane e poi il quadretto sarebbe completo. Ma l’insieme rappresentato non è certo quello di una famiglia felice ma di un’accozzaglia di individui che, per abitudine, tradizione, consuetudini, dividono lo stesso tetto, andando avanti ognuno per la propria strada, sordo alle frustrazioni altrui.

Frustrazioni che, nel caso di Manana (Ia Shugliashvili), si traducono nell’improvvisa decisione di mollare tutti e di trasferirsi a vivere – finalmente sola! – in un piccolo appartamento. La notizia crea il panico nel nucleo familiare, cui si aggiungono parenti più o meno vicini, consiglieri e membri anziani, tutti pronti a dare contro alla donna, non comprendendone (ma nemmeno sforzandosi di farlo) le ragioni del gesto. D’altra parte che umiliazione per la famiglia! Che diranno i vicini? E che cosa desidera Manana di più di un marito come Soso, che nemmeno la picchia?

È questo lo scenario di My happy family, film georgiano di Nana Ekvtimishvili e Simon Groß, uno spaccato di realtà in cui non c’è alcun tentativo di abbellimento, in cui le motivazioni dietro alla scelta della donna non vengono nemmeno spiegate, perché maggiore è l’interesse per analizzare l’ipocrisia dei membri della comunità, che si sentono in diritto di dire a Manana quello che sarebbe più giusto per lei. Nella pellicola emerge fortemente il contrasto che la donna vive ma soprattutto la differenza tra la sua solitudine quando in realtà si trova circondata da amici e familiari il giorno del suo compleanno e la sua leggerezza e completezza quando, finalmente da sola nel suo appartamento, si gode la musica e il fruscio delle foglie mosse dal vento.

My happy family è un film asciutto, in cui i confronti avvengono nel silenzio, senza alcun accompagnamento sonoro – anche perché la musica è parte della rinascita di Manana, che finalmente ritrova la perduta passione per la chitarra e le canzoni popolari – e che fa emergere l’emancipazione della protagonista, ancora più rumorosa in un Paese in cui il sacrificio di una donna, come moglie devota, madre comprensiva e lavoratrice instancabile, viene dato per scontato e il desiderio di riscatto non compreso, quando non guardato con disprezzo.

 Voto: 7.5