Trama e recensione di Vermiglio (2024)
Regista: Maura Delpero
Cast: Tommaso Ragno, Roberta Rovelli, Martina Scrinzi, Giuseppe De Domenico, Carlotta Gamba
L’ambientazione è quella di un remoto villaggio alpino. L’anno è il 1944, con gli echi della Seconda Guerra Mondiale che si affievoliscono ma che chiedono ancora il conto anche a questo sperduto borgo tra i monti.
La storia ruota attorno alla famiglia di Cesare (Tommaso Ragno) che è il maestro del villaggio ma anche un uomo di sani principi, severo e, per interessi e passioni – dai dischi per grammofono, che acquista con denaro che, come gli ricorda furiosamente la moglie, “sarebbe meglio spendere per il cibo” (ma “È cibo per l’anima”, ribatte lui) alle immagini di donne discinte – un po’ fuori contesto. Sua moglie Adele (Roberta Rovelli) è continuamente incinta – del resto gli svaghi tendono a scarseggiare – e la nidiata di figli di tutte le età segue il padre con un misto di adorazione e paura.
Tra questi figli, la più grande è la sensibile Lucia (Martina Scrinzi), il cui monotono orizzonte ha un improvviso cambiamento all’arrivo di un disertore dell’esercito in fuga; si tratta di Pietro (Giuseppe De Domenico), un siciliano che vive nascosto in una stalla, sebbene non si abbia mai l’impressione che qualcuno lo stia cercando o che possa essere denunciato. Ben presto i due diventano sempre più intimi… finché un matrimonio riparatore resta l’unica possibilità. La fine della guerra, oltre a riportare nel paese giovani soldati stravolti dalla traumatica esperienza, spinge Pietro a fare ritorno per un breve periodo nella sua terra natia…
La regista Maura Delpiero dimostra di saperci fare dietro la macchina da presa e ci regala bellissime riprese e uno spaccato di questa realtà per noi lontana, tanto nel tempo quanto nelle dinamiche, in cui i personaggi si muovono in un contesto che appare immutabile. Ma che, seppur lentamente, è comunque destinato a cambiare, perché i figli e le figlie di Cesare faticano a restare incasellate nei ruoli che tanto il padre quanto la società hanno delineato per loro. Non a caso, soprattutto alle figlie, sono affidate le svolte, le scoperte – anche quelle legate al sesso, dietro l’anta di un armadio – e le ribellioni.
Più in generale, la regista tende a dare priorità alle immagini e ai rumori – come l’esasperante pianto di un neonato – rispetto ai dialoghi, sebbene non manchi qualche divertente e acuta considerazione, spesso messa in bocca a qualcuno dei bambini di Cesare.
Questa scelta rende Vermiglio un film esteticamente molto bello ma che fatica a trasmettere quelle emozioni che permettono di entrare in empatia con i personaggi, che restano così un po’ distanti. Molte delle emozioni non vengono espresse verbalmente e, anche quando vengono mostrate, sono spesso trattenute. E questo si traduce in una temperatura emotiva della narrazione che non subisce grandi variazioni.
Anche la scelta di concentrarsi sul percorso di Lucia – che è costretta dagli eventi a un cambiamento quanto mai drastico che, in qualche modo, la trasforma in un modello di donna così diversa da quelle delle generazioni precedenti, imprigionate nelle idee antiquate sulla femminilità – è solamente accennato. E questo è un peccato perché un contrasto più evidente con il destino delle altre donne della sua famiglia avrebbe potuto aiutare a sottolineare meglio questa epocale trasformazione.
Delpero si inserisce nel filone di un certo cinema italiano – quello di Ermanno Olmi, per esempio – dimostrando di poterci stare senza alcun timore riverenziale. Qualche scelta più coraggiosa, a mio giudizio, avrebbe fatto di Vermiglio un film da non perdere. Così com’è resta comunque una pellicola visivamente affascinante e narrativamente profonda.
Voto: 6.5
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