Bloody Sunday (2002)
di Paul Greengrass
con James Nesbitt, Mary Moulds, Tim Pigott-Smith, Nicholas Farrell
La data è quella del 30 gennaio 1972 e resterà indelebile nella mente degli abitanti di Londonderry così come di chiunque abbia memoria di ciò che avvenne. Nella città simbolo della tensione tra la popolazione e il governo britannico per quella domenica d’inverno è in programma una marcia pacifica per reclamare i propri diritti. A capeggiarla e a incentivare la gente a prendervi parte – donne, anziani e bambini compresi – c’è Ivan Cooper (James Nesbitt), attivista e membro del parlamento nord irlandese, che ambisce a essere il Martin Luther King di questa parte d’Irlanda e che ha il solo desiderio di fare sentire la voce della gente, in modo totalmente pacifico.
Non la pensano allo stesso modo gli inglesi che sono contrari alla marcia, che temono disordini e che, soprattutto, vogliono tagliare la testa al dissenso arrestando gli organizzatori e i partecipanti più facinorosi. I vertici delle forze armate – che non esitano a schierare i paracadutisti in tenuta d’assalto – non sembrano così dispiaciuti dall’idea di dare una bella lezione alla gente di Londonderry. La conseguenza di tutta questa tensione sarà una sparatoria indiscriminata contro la folla, con ben tredici cadaveri lasciati sul terreno e nessun ferito tra i militari. Così quella domenica di fine gennaio resterà per sempre nella memoria con il nome di “bloody sunday”, da cui la pellicola di Paul Greengrass prende il titolo (e che ha ispirato anche la celebre canzone “Sunday bloody sunday” degli U2).
Il regista sceglie uno stile ben preciso per il racconto, trasformandolo in un vero e proprio reportage di guerra, con telecamera a mano che si insinua tra la folla e tra i soldati, trasformandosi negli occhi dello spettatore che diventa così parte integrante delle vicende. L’immagine sgranata e i frequenti stacchi tra una sequenza e l’altra, conferiscono al film un ritmo sincopato e contribuiscono a incrementare ansia e tensione. Il continuo alternarsi del racconto dell’organizzazione del corteo a quella dell’apparato militare fa da prologo in crescendo del momento in cui le due parti vengono davvero a contatto, con le note e tragiche conseguenze.
Certo Greeengrass si schiera in modo smaccato contro gli inglesi e per questo – sebbene le ragioni siano comprensibili – si fa “prendere un po’ la mano”, così da trasformare i militari nel peggior stereotipo del cattivo, dedito alla violenza insensata e insensibile. Ma d’altra parte è anche difficile trovare una qualche giustificazione per un’azione che definire punitiva e premeditata è poco. Tanto più che, nei mesi successivi, le varie inchieste non accertarono alcuna responsabilità dell’esercito, i cui vertici furono persino ricevuti con tutti gli onori dalla Regina Elisabetta…
Bloody Sunday può non incontrare i favori di tutti per come è girato (anche se per me è proprio quello il suo punto di forza) ma resta una testimonianza fondamentale per non dimenticare uno dei giorni più bui della storia della Gran Bretagna. Nel momento in cui scrivo non si trova Bloody Sunday in streaming, perciò dovrete recuperarlo in DVD.
Voto: 7.5
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