Trama e recensione di Il caftano blu (2022)
Regista: Maryam Touzani
Cast: Lubna Azabal, Saleh Bakri, Ayoub Missioui
Halim (Saleh Bakri) e Mina (Lubna Azabal, vista anche in Paradise Now) sono una coppia sposata da molti anni che gestisce un piccolo atelier dove Halim, con sapiente maestria e devozione, realizza caftani cuciti a mano, secondo la tradizione marocchina. La loro vita scorre silenziosa, segnata da piccoli gesti quotidiani e da un amore solido, anche se non convenzionale. L’equilibrio viene turbato quando arriva Youssef (Ayoub Missioui), un giovane apprendista che porta con sé una carica di freschezza e desiderio, risvegliando emozioni che Halim ha sempre dovuto reprimere a causa dell’omofobia che permea la società marocchina.
La regista Maryam Touzani – al suo secondo lungometraggio – costruisce una narrazione raffinata, evitando il melodramma e affidandosi a una regia sobria, fatta di sguardi, silenzi, inquadrature lente e luminose. Il tema dell’omosessualità viene affrontato con estremo pudore e umanità, in un contesto in cui la repressione dei desideri è parte integrante della vita quotidiana. Il film è anche un omaggio all’artigianato tradizionale e alla bellezza della lentezza, in un mondo che va sempre più di corsa: ogni cucitura, ogni gesto di Halim diventa un atto d’amore, di cura e di resistenza.
Il caftano blu è una pellicola che parla di accettazione, di amore nella sua forma più generosa e di libertà interiore. E il messaggio è ancora più potente, perché il microcosmo del negozio di sartoria di Halim appare lontano anni luce da una società marocchina ancora fortemente maschilista e patriarcale. È un’opera che si prende i suoi tempi, che commuove e che, mentre scorrono i titoli di coda, lascia con un senso di speranza.
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Voto: 7,5
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