Trama e recensione di Man in the Dark (Don’t breath – 2016)

Regista: Fede Alvarez

Cast: Stephen Lang, Jane Levy, Dylan Minnette, Daniel Zovatto

Tre giovani ladri – Rocky (Jane Levy), Alex (Dylan Minnette) e Money (Daniel Zovatto) – decidono di svaligiare la casa di un veterano di guerra (Stephen Lang), che vive in un quartiere abbandonato di Detroit. Una volta appurato che l’uomo è anche cieco, si convincono che il colpo sarà facile. In realtà l’anziano si rivela molto più “reattivo” e pericoloso del previsto e trasformerà velocemente i tre da predatori a prede.

Prima di entrare nel merito della recensione, voglio proseguire la mia crociata contro i distributori italiani che decidono di cambiare il titolo originale del film. Crociata cominciata con Finalement… Storia di una tromba che si innamora di un pianoforte.

Il titolo originale di questo thriller è Don’t breath, ovvero “Non respirare”. Scelta azzeccata, perché il proprietario della casa in cui i tre si introducono non ci vede, dunque sarebbe indispensabile non fare il minimo rumore, nemmeno respirando. Per il mercato italiano però si è deciso di cambiarlo. E qui siamo all’assurdo, perché si è scelto Man in the dark che, per carità, è anche calzante… ma capisco tradurre e cambiare un titolo per renderlo più accattivante. Ma cambiarlo lasciandolo comunque in inglese… tanto valeva lasciare Don’t breath. O no? Cose che vanno oltre le mie capacità di comprensione, evidentemente.

Ma torniamo a noi. Il regista e sceneggiatore Fede Alvarez – che recentemente ha girato Alien Romulus – in termini di trama non si inventa niente di che, anche se l’idea della vittima che non ci vede è piuttosto originale. Quello che gli riesce particolarmente bene è costruire la suspense, alternando momenti di silenzio assoluto a esplosioni improvvise di violenza.

Se il tutto funziona, il merito è da ascrivere anche al montaggio serrato ma soprattutto all’uso intelligente della luce (e della sua assenza), elementi che contribuiscono a creare un’esperienza visivamente angosciante. Inoltre la casa, con i suoi spazi stretti, gli scantinati e i corridoi bui, diventa un vero e proprio elemento narrativo, che potenzia la tensione.

Man in the dark, nel suo genere, si rivela avvincente e carico di momenti in cui si trattiene il respiro. Per questo gli si perdona alcuni colpi di scena – sebbene sorprendenti – un po’ forzati, personaggi tagliati con l’accetta e un finale meno incisivo rispetto al resto del film. Ma questo thriller adrenalinico riesce a mantenere alta la tensione dall’inizio alla fine e garantisce un’ora e mezza di ansia ed emozioni forti, che è quello che si chiede a pellicole come questa.

 

Voto: 7