Hammamet (2020)

di Gianni Amelio

con Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Silvia Cohen, Giuseppe Cederna

Bettino Craxi ha rivestito un ruolo cardine nella politica degli anni ’80 e ’90, prima come capo del Governo, poi come capro espiatorio a seguito del diluvio di processi e avvisi di garanzia che ha spazzato via il pentapartito e un certo modo di fare politica (che poi sarà proprio vero?). Il film segue l’ex leader del PSI nel suo esilio, più o meno dorato, ad Hammamet, dove si è rifugiato per sfuggire all’azione della magistratura e al carcere e da dove combatte la propria personale battaglia per sostenere la propria innocenza.

Se sapete poco di Craxi e della sua storia, non sarà certo questo film a illuminarvi, visto che la scelta del regista Gianni Amelio è quella di stare quanto più lontano da uno stile documentaristico e di lasciare che siano le conoscenze dello spettatore a cogliere i riferimenti (uno su tutti, il racconto del nipotino della crisi di Sigonella con tanto di aereo giocattolo e soldatini). La pellicola è soprattutto un viaggio introspettivo nel pensiero e nei sentimenti di Craxi, combattuto tra l’impotenza dell’esilio (che si è autoimposto), la malattia che lo infiacchisce e la delusione di sentirsi abbandonato da chi fino a poco tempo prima lo teneva in palmo di mano.

A cercare di movimentare un po’ una storia che procede piuttosto a rilento, fa la sua comparsa il figlio di uno degli amici più cari che Bettino aveva all’interno del partito, morto suicida, sbarcato (in una scena abbastanza surreale e poco credibile) in cerca di risposte e forse vendetta.

Insomma Hammamet sembra galleggiare a metà strada da tutto, senza il coraggio di schierarsi a favore o contro Craxi (il cui nome tra l’altro non viene mai fatto), senza tentare di fare chiarezza sui fatti e sui personaggi (esemplare in questo senso la visita di un politico misterioso di cui è impossibile capire eventuali collegamenti con una figura reale) ma limitandosi a indagare sui tormenti dell’uomo.

Tormenti che vengono espressi in modo impeccabile da un Pierfrancesco Favino (di cui potete leggere le recensioni di altri due film: Padrenostro e Gli anni più belli) perfettamente calato nella parte e truccato in modo estremamente somigliante. È soprattutto la sua performance a rendere il film di Amelio meritevole di una visione, dalla quale però si esce con la sensazione di un’occasione sprecata e anche un po’ annoiati.

Voto: 6-