Padrenostro (2020)
di Claudio Noce
con Mattia Garaci, Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Francesco Gheghi
Valerio è un bambino di dieci anni la cui vita viene, di colpo, sconvolta per sempre dall’attentato terroristico di cui è vittima suo padre, il questore Alfonso Le Rose e al quale, suo malgrado, assiste. L’uomo, dopo un lungo periodo di ricovero in ospedale, si salva ma il ricordo di quell’episodio e la paura che ha generato non se ne andranno più dalla mente e dall’esistenza di Valerio e della sua famiglia. Tutto questo avviene nel 1976, in un’epoca di attentati ma anche di convinzioni che i traumi infantili si possano superare crescendo e senza l’aiuto di nessuno. L’aiuto per Valerio arriva sotto forma di un misterioso amico – Christian – che però sembra più il parto della sua fantasia…
Realizzato dal regista Claudio Noce e basato su alcuni ricordi d’infanzia (suo padre, Alfonso Noce è davvero sopravvissuto a un attentato da parte dei Nuclei Armati Proletari), il film cerca di offrire la visione dell’accaduto dal punto di vista di un bambino – interpretato dal bravo Mattia Garaci – con relativa perdita dell’innocenza, con l’inevitabile chiusura in sé e la difficoltà di stabilire un rapporto con un padre idolatrato ma spesso assente e capace di grandi slanci ma anche grande freddezza.
La prima parte di Padrenostro regge anche bene, con un paio di scene dal forte impatto emotivo – su tutte quella in cui Valerio ricostruisce le fasi dell’attentato disegnando con i gessetti sull’asfalto – ma poi lentamente comincia a disfarsi, a diventare farraginoso e zoppicante. In parte per la smania autoriale del regista che, per tenersi ben distante dal rischio documentario, infarcisce la pellicola di scene al rallentatore, di inquadrature ricercate e tempi inutilmente dilatati. Ma soprattutto per la seconda parte, quella ambientata in Calabria, a causa delle dinamiche che si vengono a creare tra Valerio e i suoi genitori e Christian (tacendo del fatto che questi, un ragazzino di 14 anni, riesca a sapere dove il questore si è andato a nascondere per sfuggire al rischio di altri attentati e vi arrivi senza essere visto da nessuno, nemmeno dagli agenti della scorta…).
In tutto questo, nei giudizi su Padrenostro nessuno si è voluto esimere dal beatificare l’interpretazione di Pierfrancesco Favino che, in realtà, non è che sia così spesso sullo schermo e che, soprattutto, non mi sembra regali una performance di quelle da ricordare (siamo lontani da quella di Hammamet, per dire). Ma probabilmente anche lui, nel mio giudizio, è vittima del modesta impressione che mi ha lasciato il film.
Voto: 5
Io sono stata più clemente, per me il film arriva alla sufficienza. Concordo sulla eccessiva lentezza ma nell’insieme è godibile, grazie anche alla bella fotografia che, pur non sottolineando l’atmosfera di quegli anni, rende la pellicola suggestiva.
L’impressione è che il regista abbia realizzato un film a suo uso e consumo, concedendo molto al proprio compiacimento e non soffermandosi troppo su ciò che arriva al pubblico. Concederei (forse) questa operazione di ‘autorialità’ spinta a un regista cult, nel caso di uno sconosciuto mi genera un pò di fastidio…
A farmi abbassare drasticamente il voto è stata la seconda parte davvero sfilacciata… diciamo dall’apparizione calabrese dell’amichetto e dalla “grande” rivelazione finale. Fino a quel punto tutto sommato ho ritrovato anche io certi elementi apprezzabili e godibili. E poi io di default sono severo 🙂