La terra dell’abbastanza (2018)
di Damiano e Fabio D’Innocenzo
con Andrea Carpenzano, Matteo Olivetti, Luca Zingaretti, Michela De Rossi
Mirko e Manolo sono due giovani studenti che vivono nella periferia romana con un’esistenza “abbastanza” tranquilla, sogni “abbastanza” proporzionati al loro status sociale (frequentano la scuola alberghiera e vogliono diventare baristi, al massimo cuochi) e famiglie “abbastanza” incasinate, composte da un solo genitore (il padre per Manolo, la madre per Mirko) frustrato e disilluso.
Quello che hanno, però, sentono che non sia “abbastanza” e l’occasione per svoltare si presenta loro sotto forma di un incidente stradale, quando investono – con Mirko al volante – un uomo. La loro reazione è quella di scappare, tanto più che nessuno li ha visti. Qualche giorno dopo scoprono che la persona che hanno ucciso è un “infame” e di colpo la tragedia si trasforma in un colpo di fortuna, visto che vengono accolti nella banda che controlla le attività illegali del quartiere (che voleva quell’uomo morto) e incominciano il loro percorso di piccoli criminali.
La terra dell’abbastanza si inserisce in quel filone di film ambientati nel microcosmo della periferia romana, tra degrado e abbandono, tra strutture fatiscenti e palazzoni anonimi ma con facciate colorate, quasi a volerne celare la reale natura popolare. I due protagonisti – i bravi Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti – si muovono in questo ambiente con tutte le incertezze e le paure tipiche dei loro 18 anni ma anche con quella spavalderia che li fa sentire invincibili, pronti a tutto per raggiungere quei sogni di benessere e potere che prima non si permettevano neanche di sognare.
La scelta dei registi – i fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo (autori anche del meno convincente Favolacce) – è proprio quella di farci vedere i differenti stati d’animo che attraversano i due protagonisti, che passano dal senso di colpa all’esaltazione, dalla determinazione alla paura nel breve volgere di un istante… del resto sono adolescenti. In che modo? Con inquadrature molto ravvicinate, primissimi piani che spesso si focalizzano solo su occhi e bocca ma anche con un ritmo lento e con l’espressione dei sentimenti affidata al non detto più che al dialogo.
Il tutto funziona per buona parte del film, almeno finché non si arriva all’epilogo, quando improvvisamente il ritmo accelera e la pellicola si “dimentica” di continuare questo processo di indagine, per arrivare a un finale che appare, in comparazione con il resto del film, affrettato e un po’ buttato. Il giudizio resta comunque nel complesso positivo. Il film è disponibile su RaiPlay e personalmente, da buon milanese, l’ho visto con i sottotitoli.
Voto: 6.5
Ottima recensione , mi trovo d’accordo su tutto (a parte l’uso dei sottotitoli 😎)!
Mao, avevo capito che avevi imparato il napoletano non anche il romanesco :-))