Trama e recensione de L’innocenza (Kalbutsu – 2023)

Registi: Hirokazu Koreeda

Cast: Soya Kurokawa, Hinata Hiiragi, Sakura Ando, Eita Nagayama

Un edificio brucia nella notte. Questo evento drammatico serve come punto di partenza a Hirokazu Koreeda – autore di cui ho già recensito diversi film, come Father and son, Un affare di famiglia e La verità – per raccontare una storia da tre prospettive diverse. E optando anche per toni diversi, tra una e l’altra.

Sembra che il regista giapponese abbia deciso di imprimere a ognuno dei segmenti di cui si compone L’innocenza il marchio dei tanti “mali” che affliggono la nostra società: il bullismo, l’omofobia, la famiglia disfunzionale, il rispetto acritico per le autorità – tema molto sentito in Giappone – i pettegolezzi che si diffondono sui social media…

Tutti questi elementi, ora nel racconto del punto di vista di una madre single (Sakura Ando), ora da quello di un insegnante (Eita Nagayami), ora da quello del piccolo Minato (Soya Kurokawa), finiscono per combinarsi e creare un mostro – non a caso il titolo originale è Kaibutsu, che significa proprio “mostro” – di ingiustizia, di bugie, di incapacità di comprendersi.

La scelta di offrire allo spettatore tre punti di vista di uno stesso evento – mutuata da Rashomon di Kurosawa – lascia inizialmente la sensazione di una visione poco omogenea, soprattutto perché Koreeda, nelle parti dedicate alla madre di Minato e al maestro Hori, calca decisamente la mano, cercando (e riuscendo) a trasmettere quel senso di frustrazione di chi ha a che fare con un muro di mancate risposte, di frasi fatte e inchini insinceri.

Solo nella terza parte, quella dedicata a Minato e al suo amico Yori (Hinata Hiiragi), il film si “apre”, fornisce risposte – ma alcune domande restano comunque volutamente sospese – e si concentra sul rapporto tra i due ragazzini e su quello che provano l’uno per l’altro, che li spaventa e li disorienta. Il tutto all’interno del loro luogo segreto: un vagone ferroviario abbandonato in mezzo a una foresta.

L’innocenza, inoltre, crea anche un solco profondo tra adulti e adolescenti, lasciando intendere come sia impossibile per gli uni comprendere gli altri, per colpa – come nel caso della madre di Minato – dei filtri di accudimento, preoccupazione, senso di colpa che attanagliano i genitori. In questo, tra l’altro, la donna non viene certo aiutata dagli insegnanti che, invece di fare sponda, aggiungono ulteriori problematiche, travolti dai drammi personali – come nel caso della catatonica preside – o dalla semplice paura di danneggiare le loro reputazioni professionali.

Come accennato, l’impressione “a caldo” che emerge al termine della visione del film è che i primi due atti non siano all’altezza di quello finale, quello che fa esplodere tutta l’ingenuità della commovente storia d’amicizia e d’amore tra i due ragazzini – tra l’altro magistralmente interpretati da Hiiragi e Kurokawa.

Lasciando però sedimentare la visione, quello che affiora è che proprio il contrasto tra le regole e i comportamenti – spesso assurdi – del mondo degli adulti e l’espressione emotiva – ricca di immaginazione e totalmente libera da vincoli – tipica dell’infanzia, sia fondamentale per rendere così emozionante e in qualche modo liberatorio il finale.

Volete sapere dove vedere L’innocenza? Al momento non è disponibile sui servizi di streaming ma solo al cinema.

 

 

 Voto: 7.5