Trama e recensione di Moon Hotel Kabul (2018)

Regista: Anca Damian

Cast: Florin Piersic Jr, Ofelia Popii, Rodica Negrea, Cristina Florea

Ivan (Florin Piersic Jr) è un reporter di guerra che, poco prima di tornare in Romania dall’Afghanistan, ha una fugace relazione con Ioana (Ofelia Popii), una traduttrice, anch’essa impegnata in una missione (diplomatica). Tornato a Bucarest, il giornalista scopre che la donna si è suicidata e la vicenda lo colpisce molto da vicino, anche perché tutti gli elementi lasciano intendere che dietro la morte di Ioana ci sia altro.

Ivan si offre di riportare la salma nel paesino di campagna dove vivono la madre (Rodica Negrea) e il fratello della donna e la vicenda comincia a fare breccia nella sua scorza indurita dagli anni e a dissipare le nebbie della paura nei confronti dell’oppressivo regime rumeno.

Arido e cinico fino alla crudeltà – si veda il glaciale dialogo con la moglie di un soldato rimasto ucciso in Afghanistan – il reporter riscopre lentamente la sua umanità, dimostrando un’empatia che sembrava aver perduto nonché l’etica di un lavoro che dovrebbe sempre mettere al primo posto la ricerca della verità, nonostante tutto e tutti.

Film suddiviso in capitoli, Moon Hotel Kabul – disponibile per lo streaming in lingua originale con sottotitoli su Netflix – non ha certo nell’indagine su quello che è successo il suo cuore pulsante, quanto piuttosto nella riscoperta dell’umanità del protagonista, la cui insensibilità si sgretola lentamente, quando abbassa le proprie difese commuovendosi davanti al dignitoso dolore dell’anziana madre di Ioana e alla surreale visione del fratello, affetto da un ritardo mentale.

Introspettivo e con un ritmo lento che subisce un’impennata nelle sequenze in cui emerge il cinismo di Ivan, Moon Hotel Kabul, della regista Anca Damian, conferma quanto di interessante da tempo propone la cinematografia rumena (si vedano, per esempio, The secret of happiness, Legacy, Miracle: Storie di destini incrociati e Un padre, una figlia).

 

Voto: 7