Il divin codino (2021)
di Letizia Lamartire
con Andrea Arcangeli, Andrea Pennacchi, Antonio Zavatteri, Valentina Bellè
Il calcio, tutto sommato, ha un ruolo marginale nel film dedicato a Roberto Baggio, nonostante sia stato un elemento imprescindibile della sua esistenza. Il divin codino, infatti, si concentra soprattutto sulla vita del campione fuori dal campo, sulle difficoltà che, fin da subito, hanno cercato di stroncargli la carriera e sulla forza di volontà che, invece, gli ha permesso di continuarla, fino ad arrivare a giocare una finale dei Mondiali e a vincere il Pallone d’oro. E questa forza di volontà è figlia dell’unione tra gli insegnamenti di un padre burbero, severo e all’apparenza distante e la scoperta della fede buddista. Proprio la pratica e la recitazione – che si ritagliano un posto di primo piano nella vicenda – sembrano la stampella (figurata, visto che con quelle reali il povero Baggio ha avuto fin troppo a che fare…) cui aggrapparsi per raggiungere i propri obiettivi e mantenere la promessa fatta da bambino al padre, ovvero quella di battere il Brasile in una finale dei Campionati del Mondo.
C’è tanto dell’uomo e del credo di Roberto Baggio in questo film, che sorvola quasi tutte le storie di campo e di spogliatoio, focalizzandosi solo sui Mondiali del ’94 (quelli del celebre rigore tirato in curva) e sul rapporto d’amore e odio con Arrigo Sacchi e, dal mio punto di vista, c’è un po’ troppo parteggiare per il divin codino. Amatissimo dalla gente – forse perché il suo nome non si può legare a un club specifico, visto che non è mai stato bandiera quanto piuttosto banderuola (magari non per colpa sua) – sopportato (quando andava bene) da compagni di squadra, indigesto infine a molti allenatori.
Proprio questi conflitti sono stati il limite più grande della carriera di Baggio e su questi conflitti il film passa in modo troppo distratto, distribuendo colpe generiche ai mister, che sembra soffrissero l’ombra che la grandezza di Roby proiettava su di loro. Tutto qui? Possibile che in un’ora e mezza non si sia trovato spazio per una chiave di lettura più equidistante, magari anche per un’ammissione di responsabilità personale e non solo attribuita ad altri? Possibile che l’ostacolo più grande di una carriera ancora più ricca di trionfi non meritasse maggior spazio del commento di Carletto Mazzone: “tu in un allenatore cerchi tuo padre…”
Detto questo, il film scorre via regalando anche qualche emozione, inoltre bisogna dare merito ad Andrea Arcangeli (visto in Romulus) di essere davvero molto somigliante a Baggio. Ci sono però molti altri aspetti che convincono meno, partendo dalla mediocre resa dei rari momenti in cui vengono mostrate le riproduzioni delle azioni di gioco, passando a molte performance attoriali modeste e arrivando a una produzione in odore di sceneggiato di Canale 5. Insomma, si poteva fare di più.
Vista la poca distanza dell’uscita di Divin Codino da quella di Speravo de morì prima, la serie dedicata a Francesco Totti, il paragone è inevitabile e, per concludere, ammetto di aver preferito quest’ultima.
Voto: 5
Ritrovo completamente le mie impressioni in questa recensione. Difficile credere che Baggio fosse solo una vittima, perchè noi poveri mortali negli spogliatoi di serie A non ci entriamo. Si poteva trovare di più sul perchè fosse così amato e così odiato da (quasi) tutti allenatori. Qualche aneddoto sconosciuto, più calcio (giocato) e naturalmente un passaggio dedicato ai suoi club da professionista, non solo la Fiorentina, se lo sarebbe meritato. Possibile non ci fosse nulla da dire su Moratti, Agnelli o Berlusconi? D’altronde, uno di loro ha dato pure il titolo al film …
Ho visto la prima mezz’ora poi ci ho rinunciato. Sembrava più la biografia di uno sfigato che quella di un grande campione. Da depressione totale. Peccato, ho bruciato il film del 2022!